QUEI 18 ASSIST DA RECORD, I BUZZER BEATER, I PICK AND ROLL E TANTA CLASSE: LUCA VITALI LASCIA UN SEGNO ENORME

Cinque campionati da protagonista portando a Brescia leadership, esperienza e la sensazione di avere sempre sotto controllo la situazione

Brescia. Dobbiamo essere tutti onesti con noi stessi e ricordarci che il suo approccio non ce lo rese subito simpaticissimo: sembrava essere arrivato da un altro universo, con quel fare da aristocratico della pallacanestro italiana, un borghese della peggior specie con la puzza sotto il naso, che voleva spiegarcela in tutti i campi e in tutti i sensi. Come se a Brescia la pallacanestro non si fosse mai vista. Quella partita al PalaGeorge contro Milano, quando si presentò all’ultimo istante al palasport, facendo un riscaldamento da ”finto malato” con la felpa della tuta, corricchiando per via di un’influenza che non sembrava poi così grave, fu un brutto biglietto da visita. Venimmo poi a sapere che se l’era presa un po’ con tutti: staff tecnico e medico, come se lo volessero far giocare a tutti i costi. Che anche se così fosse stato, ci poteva stare dato che l’altro play era Marchino Passera, troppo fragile per reggere l’impatto con i mostri biancorossi. Insomma, sembrava quasi che quel giorno Luca Vitali si fosse ”chiamato fuori” ben sapendo che per la Germani sarebbe stata sconfitta sicura. Ci chiedemmo: “Cosa è venuto a fare, se non crede nel progetto?”. Quasi che Brescia fosse stato un ripiego dopo l’esperienza di Cremona dove serpeggiava la voce che il problema che aveva al piede non era risolto e per molti era l’inizio della prematura fine della sua carriera. Sì, insomma, che la Germani avesse preso un giocatore rotto. Questo si diceva in giro

Altro che finito… Non facciamo finta di non ricordare che non erano pochi quelli che sostenevano che il più grande dei Vitali non aveva più nulla da dare a certi livelli. Quella partita con Milano contribuì ad alimentare i dubbi. Ma l’orgoglio del campione impiegò un amen a scacciare i mercanti dal tempio, a far ricredere i miscredenti. Passarono solo poche giornate e lo ammirammo stabilire il record dei 18 assist proprio contro la sua ex squadra, quella Vanoli Cremona che l’aveva liquidato troppo in fretta, tra i quali un passaggio a tutto campo per una schiacciata di Landry che rimase in aria sfidando le leggi della gravità facendo urlare al vostro scriba in telecronaca: ”Pazzesco, una cosa così a Brescia non si era mai vista”. Cominciammo allora a pensare che Luca Vitali da San Giorgio di Piano fosse venuto davvero per spiegarcela. In quella prima stagione, iniziata con una vinta e cinque perse e finita con una salvezza più che tranquilla della Germani, il ricciolo bolognese trionfò nella classifica degli assist man contribuendo anche a far vincere a Landry quella di miglior marcatore e il titolo di Mvp del campionato. Assistemmo poi ai suoi buzzer beater (che goduria quello al PalaDozza contro la Virtus Bologna che l’aveva cresciuto e poi ripudiato, dopo una gara nella quale lui e suo fratello Michele subirono più insulti di Gesù Cristo nella Via Crucis fino al punto da far piangere le rispettive fidanzate), ammirammo prestazioni da professore della palla a spicchi, rimanemmo a bocca aperta nel vedergli vincere duelli con playmaker avversari che in più rispetto a lui avevano praticamente tutto: velocità, destrezza, tiro. Ma lui possedeva fosforo e letture che non occorre essere dei super atleti per possedere: quelle doti te le danno gli dei del basket. E quando le stavano distribuendo, Luca Vitali era in primissima fila. C’erano partita in cui ti sembrava che giocasse da fermo e invece era la chiave di tutti. Fece fare dei figuroni a pivot non propriamente eccelsi (ricordate Berggren o il Mika sovrappeso?) facendo entrare nel vocabolario dei bresciani la parola “pick and roll” più di ”pirlo”, ”gnari” e ”fess”, sbloccò il fratello che veniva definito un perdente perchè reduce da due retrocessioni consecutive fino a farlo diventare un giocatore d’interesse internazionale, aiutò un allenatore inesperto alla serie A come Diana a conservare la panchina in almeno un paio di circostanze.

La sequenza di uno dei 18 assist da record nella partita con Cremona nella stagione 2016-17

Personalità. Ci ha sempre messo la faccia, Luca Vitali. Discutendo con eleganza voti e giudizi, difendendo compagni ancora acerbi anche di fronte all’evidenza. Con il sottoscritto c’è stato un rapporto di amore-odio. Ci ha riconosciuto più di una volta una competenza superiore alla media (che non sappiamo se davvero abbiamo mai meritato), ma non ha mancato di farci notare quando non era d’accordo. Questo fanno le persone vere. Non gli era affatto piaciuto quell’editoriale di inizio stagione dove ci schierammo, in modo del tutto impopolare, contro la sua decisione di venire al palasport per prendersi l’applauso della gente in un momento già difficile per la squadra. L’ avevamo invitato ad abbassare i toni. Una sera in una locale era arrivato al punto di negarci il saluto. Anche quello era paradossalmente un modo per metterci la faccia. Non c’era cattiveria e infatti il chiarimento fu quasi immediato, seppure solo via messaggio come purtroppo spesso accade ai nostri tempi fatti di pandemie, scarsa socialità e un po’ di pigrizia nei face to face. Ci eravamo dati appuntamento per una colazione a quel bar dove altre volte ci eravamo incontrati per parlare di basket e di vita, come con i giocatori e gli allenatori del giorno d’oggi purtroppo si riesce a fare sempre di meno. Per ora ci limitiamo a salutarlo così, snocciolando i numeri di cinque anni indimenticabili: un paio di centinaia di partite, un migliaio di punti e di assist, una finale di Coppa Italia, una semifinale scudetto e una salvezza soffertissima, quella dell’anno scorso, dove nella gara di Cremona ci fu anche il suo marchio a fuoco. Continuiamo a ritenere che nella Germani di quest’anno centrasse nulla per una questione tecnica e fors’anche di carattere al cospetto di un coach come Magro che ha bisogno di determinati giocatori. Caratteri che sarebbero andati in collisione. E’ stato quindi meglio per tutti non aver nemmeno provato a farli coesistere. Tutto questo però nulla toglie a un eccellente lustro in biancoazzurro. Cinque anni nei quali, prima o dopo, tutti ci siamo immedesimati in quel play con l’altezza da pivot, senza il fisico per un basket moderno, ma ancora così modernamente decisivo per farci rendere orgogliosi di lui e di una squadra che ha stupito solo chi non credeva che il suo regista l’avrebbe saputa pilotare nell’universo che fin lì solo lui aveva saputo esplorare.