“Nello sport non esiste la vittoria senza il fallimento e una delle cose più belle che ti insegna lo sport è cosa apprendi dalla sconfitta” è la frase che riassume la mentalità del #8 della Germani Pallacanestro Brescia intervistato da Next Level Communication.
In una bella video intervista girata tra i vicoli del centro di Brescia e al PalaLeonessa, Amedeo Della Valle ripercorre le tappe del suo percorso cestistico e apre la scatola dei ricordi dalla firma del contratto con Reggio Emilia, alla partenza per gli States fino alla difficile e sofferta esperienza a Gran Canaria, il Montenegro e l’approdo a Brescia dove, grazie ad un gruppo speciale, ha ritrovato se stesso attraverso il lavoro con i compagni che sono per lui fondamentali per esprimersi e per la sua crescita.
Il primo ricordo: “Io che pulisco il campo dopo una partita di mio padre; mi è sempre riuscito bene fare canestro. Per me è sempre stato un obiettivo cercare di essere quello che è stato mio padre. I sacrifici sono stati tantissimi e quelli da giovane sono quelli che ti segnano: lasci la famiglia vai incontro a qualcosa e non sai cosa ti può succedere”.
La High School: “Non erano stati in tanti prima di me a partire dall’Italia ed andare al College. Ho preso il volo da Malpensa per andare a Las Vegas non sapendo chi sarebbe venuto a prendermi in aeroporto. La High School si è chiusa benissimo perché abbiamo vinto il titolo nazionale. Poi avevo deciso di far parte di Ohio State University e ho vissuto davvero come in un film. E’ stato tutto abbastanza surreale”.
Il ritorno in Italia: “E’ stato un insieme di cose. Ho avuto problemi quando sono tornato dal College perché mi sono catapultato da una realtà incredibile e sono arrivato a Reggio Emilia dove i primi mesi nemmeno giocavo; ho anche pensato di tornare in America per proseguire gli studi. Invece si è tramutato tutto in una esperienza strepitosa in cui c’è il rimpianto di non avere vinto lo scudetto, ma a mente fredda rimane tanto orgoglio per la strada fatta”.
Milano-Gran Canaria-Montenegro: “Quando giochi in una squadra del livello di Milano penso che tu debba arrivare lì pronto e nel pieno. Nella mia carriera ho avuto la fortuna di giocare in situazioni che andavano quasi sempre bene; a Gran Canaria non è stato così e ho optato per una esperienza più formativa come quella che è stata il Montenegro. Con l’arrivo di coach Milojevic il mio punto di vista e la mia maturità sono cambiate totalmente. Ho aperto un po’ gli occhi. Lui mi diceva: “Quando guardo te che tiri penso sempre che la palla andrà dentro”. E questa non è una cosa banale. Io non vedevo la cosa esattamente come la vedeva lui. Dopo il Montenegro avevo una gran voglia dentro di misurarmi anche per capire se potevo essere un giocatore che fa davvero la differenza ed è arrivata l’opportunità di Brescia”.
Brescia. “Arrivare a Brescia è stato semplice. Siamo fortunati ad avere un gruppo e delle persone che lavorano in modo strepitoso insieme e questo non capita tutti gli anni. C’è stato un periodo all’inizio in cui non andavamo bene ma la bravura dei tifosi e della società soprattutto è stata quella di sostenere la squadra nelle difficoltà. Sfrutteremo qualsiasi occasione ci verrà concessa perché ci si possono togliere tantissime soddisfazioni come stiamo facendo, una partita alla volta. Magari non vinceremo lo scudetto ma se giochiamo con la passione che ci stiamo mettendo sicuramente batterci sarà comunque dura”.
Che giocatore sono. “Io non sono magari la persona più atletica del campionato, mi piace cercare di migliorare il mio gioco tramite lo studio e le letture. Dove non ci arrivi con il fisico ci puoi arrivare con la testa”.
La Nazionale. “Tornare in Nazionale è stato molto emozionante, più di quanto pensassi. Più che rivincita verso gli altri è stata una rivincita verso me stesso”.
I compagni. “Loro sono la parte più importante del mio gioco; lavorano per me per cercare di aiutarmi e io devo lavorare per loro affinché li possa mettere nelle migliori condizioni possibili”.
Le motivazioni. “Tutti i giocatori passano attraverso tanti motivi duri. Ripensando a me da giovane, ricordo il primo anno a Casale dove non riuscivo a vivere senza la mia famiglia e con gli altri compagni. Ricordo la sera della firma del contratto di Reggio Emilia, due ore dopo la cena mi ritrovavo con mio padre in hotel piangendo e gli dicevo che probabilmente non ce l’avrei fatta. Il momento più duro è stato dopo Gran Canaria. Ti passano tantissime cose per la testa: sono nel posto sbagliato, non sono il giocatore giusto, sono scarso; l’importante è continuare ad avere una visione razionale delle cose. Penso che nello sport non esista la vittoria senza il fallimento. E una della cose più belle che ti insegna lo sport è ciò che apprendi da una sconfitta. A un ragazzo direi di fare quello ho fatto io, di divertirsi, di godersi le partite con gli amici e penso che se non avessi fatto il giocatore di basket sarei stato lo stesso contento di percorrere un’altra strada”.